Da Fano ai tanti ritrovamenti d’Italia, il paese delle bombe inesplose.

Lunga poco più di un metro e pesante circa 250 chili, quella di Fano è solo l’ultima delle bombe inesplose, residuo della seconda guerra mondiale, trovate in Italia dal dopoguerra ad oggi. E così in un raggio di circa 1.800 metri dal punto di ritrovamento dell’ordigno bellico circa 23.000 persone hanno dovuto lasciare le loro case a seguito dell’innesco accidentale della bomba in un cantiere della città. Una bomba a spolette differite di fabbricazione britannica, dotata quindi di un congegno che attiva l’accensione della carica esplosiva interna dopo un certo periodo di tempo dall’innesco e che, secondo gli artificieri, se avesse funzionato correttamente, sarebbe potuta esplodere con un ritardo compreso tra le 6 e le 144 ore dal momento dell’innesco. Prelevata dal cantiere la bomba è stata portata in alto mare dalla Marina Militare e affondata; sarà così fatta esplodere in sicurezza dagli artificieri dell’Esercito nei prossimi giorni se le condizioni del mare lo permetteranno, nel frattempo la zona è stata interdetta dalla attività marittime e viene controllata attivamente dalle motovedette della guardia costiera. Questo è solo l’ultimo episodio di ritrovamento di un residuato bellico in Italia. Per farsi un’idea della grandezza del problema si pensi che negli ultimi 10 anni ci sono stati più di 30 mila operazioni nel corso delle quali sono state distrutte più di 12 mila ordigni; quelli del Genio pionieri dell’Esercito e di altre forze militari compiono, infatti, ogni anno circa tremila interventi (una media di oltre otto al giorno) per disinnescare i residuati esplosivi di conflitti armati che hanno coinvolto il nostro territorio sessanta se non ottanta anni fa.

L’Italia è ancora in guerra, anche se non lo sa. Nel corso della seconda guerra mondiale RAF e USAF sganciarono complessivamente sul nostro paese circa un milione di bombe (per un totale di oltre 350 mila tonnellate di esplosivo), di queste si stima che circa il 10% non esplose del tutto e quindi almeno una bomba su quattro è ancora da recuperare: qualcosa come 25 mila ordigni sull’intero territorio nazionale. Per di più alla fine del conflitto ogni esercito ha nascosto sotto terra bombe e munizioni inutilizzate.  Le aree dell’Italia dove maggiore è la probabilità di imbattersi in ordigni bellici risalenti ai due conflitti mondiali dello scorso secolo sono quelle dove si sono combattute le offensive più significative e quelle che hanno ospitato predisposizioni difensive: come tutta la fascia pedemontana, le città, i porti e le grandi arterie stradali utilizzate dalla colonne tedesche in ritirata. Dalla grande bomba al fosforo ripescata a fine agosto dai sub di una società privata nelle acque del porto di Civitavecchia, alla piccola granata notata da un passante i primi di settembre nel praticello del bar del tennis al Foro Italico di Roma, micidiali rimembranze della guerra mondiale che fu e che ancora oggi rischiano di provocare feriti, mutilati e persino vittime in un Paese che della produzione di ordigni bellici ha fatto in passato uno dei suoi fiori all’occhiello industriale.

Difficile fare una stima esatta, visto il continuo ripetersi di questi episodi in Italia. Ma non è azzardato parlare negli anni di qualche centinaia di morti legati ai residuati bellici. Nel 1976, ad esempio,  sull’altopiano di Asiago si contarono ben sette vittime per uno scoppio avvenuto alle pendici del monte Kaberlaba. La causa fu la pericolosa passione per il recupero e collezionismo di residuati bellici. Molti di questi ordigni (granate, bombe d’aereo e da mortaio) sono tuttora in grado di scoppiare al minimo urto e di distruggere ciò che è vicino al loro raggio d’azione. Ecco perché in pratica non esiste area del suolo italiano non a rischio. Per non parlare poi di quelle che giacciono in fondo al mare, dove la situazione probabilmente è ancora più critica.

Dal Basso Adriatico al Golfo di Napoli, sui nostri fondali sono sepolti migliaia di ordigni inesplosi più o meno recenti. Il Portolano della navigazione, edito dall’Istituto idrografico della Marina, parla di decine di mine magnetiche, siluri, proiettili o altri ordigni esplosivi. Per questo proibisce in varie aree, come ad esempio nel golfo di Oristano e a Capo d’Otranto, la navigazione, la sosta di natanti e la pesca. Restrizioni analoghe sono in vigore quasi in ogni angolo dei nostri mari. Si chiamano “marine UXO”, dove “marine” indica i nostri oceani, e l’acronimo “UXO” che sta per “Unexploded Ordinance”, figli soprattutto di una pratica legale (fino agli anni settanta), quando si credeva che il modo migliore per disfarsi di bombe, proiettili o munizioni non utilizzate (e non solo a valle di conflitti) fosse gettarli in fondo al mare. Secondo i dati di un dossier elaborato da Legambiente nel 2012 sarebbero infatti oltre 30mila gli ordigni inabissati nel sud del mare Adriatico di cui 10 mila solo nel porto di Molfetta e di fronte a Torre Gavetone a nord di Bari; 4.300 bombe all’iprite e 84 tonnellate di testate all’arsenico nel mare antistante Pesaro; 13mila proiettili e 438 barili contenenti iprite nel golfo di Napoli. Retaggi di conflitti lontani e recenti, come la guerra in Kosovo che ci hanno lasciato, ad esempio, migliaia di bomblets, piccole cariche «derivanti dall’apertura delle bombe a grappolo sganciate sui fondali marini».

Bonificare un’intera nazione non è cosa semplice. Esiste una legge che prevede interventi di bonifica in profondità quando si devono realizzare lavori in aree dove potrebbero esserci ordigni. Le bombe di aereo per peso e configurazione raggiungono infatti, nei terreni non rocciosi, profondità anche di 5-8 metri. All’artificiere spetta il compito di mettere in tatto tutte le misure di sicurezza in caso di ritrovamento di ordigni esplosivi. Divisi in Specialisti EOR/EOD (che intervengono su tutto il materiale di origine militare regolamentare come i residuati bellici) e Specialisti IEDD (che intervengono su tutti gli ordigni improvvisati, cioè tutti gli ordigni esplosivi realizzati in ambito terroristico) la professione dell’artificiere richiede molta esperienza, studio, concentrazione, sangue freddo e prontezza e, qualora fosse necessario, anche spirito di sacrificio.

E così migliaia di ordigni rimasti intonsi dall’ultima volta che una guerra, quasi settant’anni fa, ormai, ha insanguinato la penisola stanno nascosti in attesa di essere ritrovati, scoperti e fatti brillare dagli artificieri; silenziosi ed immobili, simulacro degli errori di ieri che potrebbero costarci cari domani.

 

Ammiraglio Giuseppe De Giorgi


Fonti:

https://www.ilpost.it/2018/03/14/evacuazione-fano-bomba/

http://www.ansa.it/marche/notizie/2018/03/15/bomba-a-fano-sara-fatta-brillare-in-mare-lunedi-_344f8f2d-8fb3-437e-94d0-7f5131d7f3d6.html

http://www.lastampa.it/2013/03/04/cultura/domande-e-risposte/residuati-bellici-quali-i-pericoli-ySOWtmsNNHy4O0Fbwf778M/pagina.html

http://www.linkiesta.it/it/article/2015/04/17/litalia-e-circondata-da-un-mare-di-bombe/25537/

https://www.agi.it/blog-italia/scienza/bombe_inesplose_mare_mediterraneo_bando_europeo-1579967/news/2017-03-13/

https://it.wikipedia.org/wiki/Artificiere

http://www.gazzettadellavoro.com/come-diventare-artificiere/40816/

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